La vita dopo la guerra
Incontro con Helga Schneider
autrice di Heike riprende a respirare
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(In esclusiva per InfiniteStorie.it. La riproduzione in qualsiasi forma è vietata.)
[La foto è © di Effigie/Giovannetti]Dopo Stelle di cannella e L'albero di Goethe la scrittrice di origine tedesca riapre per il pubblico dei ragazzi le pagine del suo personale passato per raccontarlo, commuovere e far pensare grazie a un nuovo romanzo Heike riprende a respirare ritornando al tema del suo primo libro Il rogo di Berlino e alla dimensione collettiva della tragedia di cui è stata testimone. Questa volta racconta come la guerra non distrugge solo case e cose, ma spezza legami familiari, annulla principi, regole di vita, sogni, progetti, sentimenti e certezze. La guerra frantuma nei bambini e negli adolescenti la fiducia nell'essere umano, creando spesso adulti problematici, afflitti da traumi permanenti. Le città e gli edifici si possono ricostruire in fretta, ma lo sfacelo culturale che segue una guerra rimane a lungo e il recupero della normalità è lento, faticoso, e chiede nuovi sacrifici a grandi e piccoli. Nasce così una storia delicata, in punta di piedi di bambina per raccontare una verità cattiva: nessuno sopravvive alla guerra, neppure i vivi. Una vicenda che parla anche di speranza e della volontà di sopravvivere ad ogni costo. Infinitestorie.it ha intervistato Helga Schneider.
D. Heike riprende a respirare è ambientato a Berlino, una città distrutta dalla guerra, che ha già scelto in passato come sfondo per un suo libro. Che cosa rappresenta per lei e quale legame la unisce alla capitale della Germania?
R. Berlino rappresenta per me la città che mi ha tolto tutto, madre, infanzia, ma dove sento tuttora di aver lasciato le mie radici. Amo molto Berlino, là ho l'impressione di essere veramente a casa malgrado l'abbia abbandonata nel 1948.
D. I ragazzi, ai quali dedica questo terzo libro, sono particolarmente attenti alle tematiche forti che affronta nei suoi romanzi ma, secondo quanto racconta, sono anche spesso vittime della guerra e della cattiveria degli adulti. In quale modo le terribili vicende vissute condizionano la loro crescita e la loro esistenza?
R. Ogni guerra produce un numero imprecisato di bambini traumatizzati, che spesso svilupperanno patologie fisiche e psichiche con effetti di lungo periodo, a volte irreversibili, compromettendo così il loro futuro. Io stessa sono stata una bambina traumatizzata a causa della guerra e del precoce abbandono di mia madre, a quattro anni, e solo la scrittura mi ha ridato un accettabile equilibrio psicologico. Anche la protagonista di Heike riprende a respirare, che in realtà è la mia unica cugina, è stata una bambina traumatizzata dal Secondo conflitto mondiale e dalle conseguenze prodottesi nell'ambito della sua famiglia (il suicidio della madre, il difficile rapporto con il padre reduce). Ma - nonostante Heike alla fine del libro 'riprenda a respirare' - da adulta dovrà lottare per tutta la vita contro i danni che gli eventi della sua infanzia hanno prodotto sulla sua psiche.
D. Un tema ricorrente nei suoi romanzi è il rapporto conflittuale tra madre e figlia, dal quale riaffiora la sua vicenda personale. Heike e Margie hanno reazioni opposte al trauma provocato dalla guerra. Come si può sopravvivere, o cercare di farlo, in mezzo a tanta disperazione?
R. Heike ha reagito come si legge nel libro, mentre Margie, che nella vita reale era mia zia, è stata vittima di un trauma acuto (lo stupro subito da alcuni soldati sovietici davanti agli occhi della figlia), che non le ha dato tempo per rielaborare lo shock e la vergogna, spingendola irresistibilmente verso la morte.
D. La guerra porta dolore e distruzione anche all'interno della famiglia, ma soprattutto cambia i rapporti tra le persone. Accade a Heike e a suo padre, ma anche lei ha vissuto un dramma simile. Ci può raccontare che cosa capita in tali circostanze?
R. Come tanti bambini sopravvissuti alla Seconda guerra mondiale, io posso essere definita una vittima civile di tale conflitto, vittima che però non ha potuto usufruire di alcuna assistenza medico-psicologica che sia intervenuta sui miei traumi infantili. Non solo, gli adulti della mia famiglia (ad eccezione dei nonni paterni del cui amore ho potuto godere per poco tempo), non mi hanno dato alcun aiuto in tal senso, al contrario, disorientati e ostili alle mie sofferenze mi hanno lasciata al mio destino.
D. La scrittura sembra avere per lei una funzione catartica: le permette di ricostruire legami spezzati e di far sapere ai giovani che non esistono solo gli orrori della guerra, ma anche la speranza e il desiderio di sopravvivere. Conferma questa nostra impressione?
R. La scrittura è stata tutto per me, non mi ha mai lasciata sola: mi ha dato amicizia, coraggio, mi ha spronata a lottare per trovare la mia strada, sia come persona, sia come scrittrice. Ma mi ritengo fortunata: non a tutti è concesso il dono di un talento e nello stesso tempo la forza di volerlo sviluppare ad ogni costo. Di questo sono grata al destino.
D. Ha mai immaginato una versione teatrale o cinematografica dei suoi romanzi? Chi le piacerebbe come interprete per Heike?
R. Insieme a Lina Wertmüller abbiamo tratto un'opera teatrale dal mio libro Lasciami andare, madre che, in tre anni di tournée, ha riscosso in tutta l'Italia un grande successo. Di Lasciami andare, madre esiste anche un progetto cinematografico inglese che, spero, si realizzerà. Dal mio libro Stelle di cannella ho tratto una sceneggiatura per un'opera teatrale per ragazzi che sarà sulle scene nell'autunno del 2008. Forse Heike riprende a respirare potrebbe essere un bel film, ma ancora non ho in mente chi potrebbe interpretare il ruolo della protagonista.
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