Quello di cui vorrei parlarvi oggi è un concetto estremamente complesso, difficile da veicolare in tutta la sua profondità e nelle sue tante e variegate sfaccettature. Ma è talmente rilevante per la vita dei devoti che, con umiltà, dovremmo essere soddisfatti con la parte che di esso riusciamo ad esprimere e a comprendere, senza quell’esosa presunzione di aver detto o compreso tutto. Provo ad esprimerlo in maniera succinta, essenziale, dunque con tutti i pro e i contro che ci sono quando si fa una sintesi.
La vita spirituale può iniziare in tanti modi, nelle maniere più svariate. Può iniziare quando abbiamo raggiunto il vertice della piramide sociale e, pur avendo ottenuto tutto, si prova un’insoddisfazione che non riusciamo a spiegarci né a comprenderne le cause, perché non scaturisce da niente in particolare. Tutti gli obiettivi possibili (fama, successo, ricchezza, potere…) sono infatti stati raggiunti, eppure, nonostante ci sia tutto, ci si accorge che in verità non c’è niente. Non c’è niente di quel che può darci reale, duratura e profonda soddisfazione. La sensazione che qui ho brevemente descritto non è molto comune, non la sperimentano tante persone, però la menziono perché rappresenta un estremo. Poi c’è l’altro estremo: una persona che non è riuscita a conseguire nulla nella vita, che non è stata in grado di esprimere i suoi talenti, che ha fallito in campo professionale, in famiglia, nelle relazioni, che è sola e sofferente, e in questa condizione sente l’impulso e la necessità di trovare risposte e soluzioni al suo malessere.
Chi é il migliore dei due?
Nessuno dei due è a priori migliore dell’altro.
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