Non c’è pace per gli ambientalisti in Honduras: a poche settimane dal brutale omicidio di Berta Caceres, un altro membro della sua organizzazione è stato assassinato, le indagini sono ad un punto morto e a Gustavo Castro Soto, attivista messicano e unico testimone del delitto Caceres, continua ad essere negato il permesso di lasciare il Paese e di fare ritorno a casa.
Si chiamava Nelson Garcia, aveva 38 anni e apparteneva al Copinh, l’organizzazione cofondata negli anni Novanta da Berta Caceres per difendere i diritti degli indigeni dell’Honduras. È stato ucciso da non meglio identificati uomini armati mentre tornava a casa da un sit-in contro lo sfratto di decine di famiglie del Rio Chiquito da parte di forze di polizia ed esercito.
La sua morte offre l'ennesima, triste conferma alle statistiche che descrivono il Paese centroamericano come il più pericoloso al mondo per gli ambientalisti: neppure l’ondata di sdegno e le mobilitazioni suscitate dall’omicidio di un personaggio di fama globale come Berta Caceres sono riuscite a fermare la mano dei killer, che, bisogna ricordarlo, agiscono nella quasi certezza dell’impunità.
Nonostante le pressioni di opinione pubblica e organizzazioni internazionali, anche le indagini sulla morte di Caceres sono in una fase di stallo, con la polizia che si è limitata ad interrogare ripetutamente i soli membri del Copinh, mettendone sotto sorveglianza le sedi, gli uffici le strutture, e a cercare gli assassini tra gli amici e colleghi dell’attivista. Persino una delle figlie di Caceres è stata pedinata più volte da uomini armati, mentre tutti i partecipanti alle manifestazioni tenutesi in suo ricordo sono stati fotografati e schedati.
Aureliano Molina, esponente di spicco del Copinh, è stato arrestato poche ore dopo la morte di Caceres e detenuto per due giorni, nonostante la notte dell’omicidio fosse ad alcune ore di auto dal luogo del delitto, mentre altri due attivisti, Tomas Gómez e Sotero Echeverria, sono stati ripetutamente interrogati dalla polizia, senza poter contare sulla presenza di un avvocato.
“Chiediamo la fine della persecuzione, delle molestie e della guerra ai membri del Copinh.” - si legge in un comunicato diffuso qualche giorno dall’organizzazione – “Chiediamo al Governo honduregno giustizia per i nostri colleghi morti e la fine dell’impunità.”
Nel frattempo, l’unico testimone oculare del delitto Caceres, Gustavo Castro Soto, che è rimasto ferito nell’agguato, non potrà lasciare l’Honduras almeno fino al prossimo 6 aprile e, pur avendo già subito diversi interrogatori e avendo trovato rifugio presso l’Ambasciata messicana, continua ad essere periodicamente sentito dagli inquirenti. Sia l’attivista e che l’Ambasciatore messicano hanno fatto trapelare il timore che l’uomo possa essere in qualche modo incriminato dell’omicidio: un comodo capro espiatorio, per chiudere in fretta un caso particolarmente spinoso.
D’altra parte, mentre la famiglia Caceres continua a chiedere un'inchiesta obiettiva e indipendente, è fin troppo chiara la volontà della polizia e della Procura di ignorare completamente la pista del delitto politico, legato all’impegno decennale della donna in difesa del popolo Lenca e alla lotta contro la costruzione della diga dell’Agua Zarca, che tanti nemici le aveva procurato.
La convinzione che sembra muovere ogni passo degli inquirenti è quella di un delitto maturato per motivi non meglio identificati tra le fila degli stessi attivisti, nel contesto delle organizzazioni ambientaliste che si oppongono ai grandi progetti idroelettrici: una tesi di comodo, insomma, che consentirebbe eliminare dal panorama politico delle voci critiche e dissonanti.
A quasi un mese dall'omicidio, verità e giustizia sembrano ancora molto, troppo lontane.
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