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Una nuova tecnica per riparare i nervi danneggiati

nervi
Foto di Ermal Tahiri da Pixabay

Ricercatori statunitensi hanno creato una guida biodegradabile su cui sono state innestate delle microcapsule contenenti una proteina in grado di promuovere la rigenerazione dei nervi danneggiati.

Le cause che possono portare al danneggiamento di un nervo sono diverse: incidenti stradali o sul lavoro, diabete, patologie neurodegenerative, addirittura traumi alla nascita. È stato dimostrato che i nervi possiedono una minima, intrinseca capacità di rigenerazione, ma se il danno riguarda un tratto nervoso più lungo di 7-8 mm, la perdita di funzionalità (in termini di mobilità dell’arto danneggiato) è permanente.

Un gruppo di ricerca della Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh ha ideato un approccio innovativo per la cura di questo disturbo, che solo negli Stati Uniti riguarda più di 20 milioni di persone. Questa nuova tecnologia, recentemente descritta sulle pagine della rivista Science Translational Medicine, è stata per ora testata su un modello animale (macachi). I ricercatori e le ricercatrici statunitensi hanno creato una guida biodegradabile, costituita da un tubo realizzato con un particolare polimero su cui sono state innestate delle microcapsule contenenti una proteina in grado di promuovere la rigenerazione dei nervi danneggiati. Il tutto senza bisogno di ricorrere al trapianto di cellule staminali o all’innesto della porzione di un altro nervo.

Le tecniche usate attualmente in caso di danni ai nervi
Comunemente, il trattamento effettuato per ripristinare la funzionalità nervosa prevede la rimozione di un nervo sensoriale situato nella parte posteriore della gamba – operazione che causa una perdita di sensibilità più o meno grave di questa zona – che viene poi tagliato in parti più piccole, a loro volta fasciate tra loro e infine cucite sulla terminazione del nervo motorio danneggiato. Con questa tecnica, tuttavia, si riesce ad ottenere un ripristino della funzionalità motoria che varia dal 40 al 60%: “è come sostituire un pezzo di un bucatino con quello di uno spaghetto fine – spiega, con una metafora culinaria, la Professoressa Kacey Marra, una delle autrici dello studio – sono simili, ma non è la stessa cosa”. Inoltre l’efficacia di questo tipo di intervento diminuisce mano a mano che aumenta la lunghezza della lesione: oltre ai 2 cm, essa è praticamente inconsistente.

Grazie alla nuova tecnologia, invece, si ottiene – almeno nelle scimmie su cui è stata sperimentata, che presentavano una lesione dei nervi motori dell’avambraccio lunga circa 5 cm- un ripristino dell’80%.

Ma come funziona?
Il tubo-guida che è stato progettato, fondamentale per indirizzare la ricrescita neurale, è composto dallo stesso materiale con cui sono realizzati i fili delle suture riassorbibili, ed è costellato di microcapsule, a forma di sfera, contenenti un fattore di crescita neurotrofico (il GDNF). Questa proteina viene rilasciata dalle microsfere lentamente, nel corso di alcuni mesi, supportando la lenta ricrescita del nervo (che ha infatti impiegato circa un anno per rigenerarsi del tutto).

Il recupero funzionale osservato al termine della sperimentazione era sostenuto da un ripristino della conduzione nervosa e dal ricostituirsi delle cellule di Schwann. Tali cellule formano uno strato isolante intorno al nervo, lasciando solo delle piccole interruzioni (i nodi di Ranvier) in cui il segnale elettrico riesce a passare. In questo modo (cioè “saltando” da nodo a nodo, senza dover percorrere gli assoni dei neuroni per intero) il segnale nervoso è molto più veloce, e ci permette di svolgere in maniera repentina qualsiasi movimento. Diversi studi hanno inoltre dimostrato l’importanza delle cellule di Schwann nel supportare la rigenerazione neurale: in caso di lesione, infatti, esse subiscono una sorta di riprogrammazione che ne cambia la funzione principale, e rappresentano quindi un aiuto supplementare all’azione del GDNF rilasciato dal microtubo.

Dopo i promettenti risultati ottenuti sui macachi, il gruppo di ricerca vorrebbe testare la sperimentazione sui pazienti. Al momento la richiesta è al vaglio della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia governativa statunitense che monitora il mercato di prodotti farmaceutici e dispositivi medici, ma ottenere risultati comparabili a quelli rilevati nelle scimmie rappresenterebbe un punto di svolta nella cura di molti deficit motori: “ad oggi non esiste uno strumento, approvato dalla FDA, in grado di ripristinare la conduzione nervosa per interruzioni che superino i 2 cm- conclude la Marra – È questa la grande differenza, il limite che è stato superato grazie a questa nuova tecnologia”.

Marcello Turconi

oggiscienza.it

 

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