Lo spettacolo è stato diretto egregiamente da Antonio Amilicia che non solo ha guidato in modo accurato la compagnia “Le Marionette”
La Lute di Venetico coordinato dalla responsabile, la prof.ssa Nella Trimarchi ha ospitato l’associazione “Le Marionette” per la messinscena di “Madre”, uno spettacolo tremendamente toccante che ha lasciato il pubblico letteralmente senza fiato. Un viaggio nell’orrore dell’Olocausto e nella mente umana attraverso contenuti abbastanza forti e fatti rappresentati dettagliatamente con veridicità e brutalità estrema.
“Madre” tratto dal libro “Lasciami andare, madre” di Helga Schneider, è un libro autobiografico che descrive l’incontro dell’autrice con la madre, dopo 27 anni, ormai in punto di morte. Lo spettacolo è stato diretto egregiamente da Antonio Amilicia che non solo ha guidato in modo accurato la compagnia “Le Marionette”, ma ha anche sceneggiato e scritto i dialoghi ispirandosi alle pagine del libro, con un risultato davvero emozionante e autentico, in quanto si riesce a percepire il senso profondo.
Nel libro è narrata in modo autobiografico la storia dell’autrice che è stata abbandonata da piccola dalla madre, una fervente sostenitrice del nazismo che lasciò la propria famiglia per servire il proprio Paese ed obbedire allo spietato progetto di Hitler.
L’opera messa in scena e interpretata dai bravissimi attori, inizia proprio con l’incontro di Helga con la madre. La protagonista si trova di fronte una donna, che nel suo immaginario dovrebbe essere pentita, logorata dalle sue colpe, ma la realtà si rivela, man mano che si sviluppa la storia, ben diversa. La madre infatti accarezza ancora l’uniforme, non prova sensi di colpa, “ha solo obbedito agli ordini”, come se cancellare una fetta di umanità rientrasse nella normalità. Una normalità atroce che ha seminato morte e terrore e costituisce uno dei peggior crimini compiuti da uomini.
Helga riceve la lettera di un’amica di “Mutti” (mamma), che le comunica che la madre sta morendo e così sceglie di dare, e darsi, un’altra possibilità, perché non riesce a spezzare quel filo invisibile e spietato che la unisce con chi l’ha messa al mondo.
La protagonista è costantemente divisa tra l’odio e quella sensazione di perdono, che non riesce a dare, così come non può essere dato dal mondo intero.
Attimi di tensione, di spietata e cruda verità, sicuramente non smorzata dalla rappresentazione, perché ciò che è successo, è accaduto, non è fantasia, ma realtà.
Il dialogo tra madre e figlia diventa sempre più intenso con un crescendo di emozioni. Pian piano oltre le due protagoniste, si susseguono gli altri attori che ci riportano indietro, in un tempo scellerato che ha scosso e reso possibile l’impensabile. I dialoghi proseguono sempre più accesi e le varie voci ci proiettano in quelle vicende. Helga è sconvolta da tutto ciò che sente, non riesce a non porre domande, a cercare di dare e di darci una spiegazione, che non esiste. Infatti niente può giustificare ciò che è stato e l’alito di dolore e di vergogna che ha provocato l’agire dell’uomo, se così può essere definito chi si appropria il diritto di porre fine alla vita di altri uomini. Helga si ritrova immersa nell’atmosfera di angoscia e di morte e di orrore.
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