Nel 2004 Lina Wertmüller rimase folgorata dalla lettura del romanzo Lasciami andare, madre della scrittrice tedesca Helga Schneider
Una storia crudelmente drammatica, vissuta dall'autrice. Nel 1941 una madre abbandona la figlia per arruolarsi nelle SS. Le due donne si ritrovano nel dopoguerra. La figlia è certa che la madre provi vergogna per aver indossato l'imbarazzante divisa. Scopre che non lo è per niente. Anzi, ne è orgogliosa. La separazione fra le due è definitiva. Herlitzka, nell'adattamento teatrale di Lina Wertmüller, recita in compagnia di Milena Vukotic. Se c'è una precisa rappresentazione di quella che Hanna Arendt ha definito la «banalità del male», la si può trovare proprio in Lasciami andare, madre. La Arendt aveva visto di persona, al processo di Gerusalemme, il «grigio funzionario» Adolf Eichmann. Un piccolo burocrate impegnato a rendere più agevoli possibile gli spostamenti ferroviari della morte. Lo riteneva una nullità umana. E da lui si aspettava una sola cosa: l'assunzione della responsabilità dei propri atti. Ma non accadde. Accade invece nella messa in scena di Lasciami andare, madre. La prima apparizione cinematografica, l'attore torinese la deve proprio a Lina Wertmüller, in Storia d'amore e d'anarchia (1973), che lo vorrà in altri suoi film, tra cui Pasqualino Settebellezze (1975).
Da quell'apparizione parte una carriera cinematografica di tutto rispetto. Herlitzka lavora con tanti registi, noti e meno noti, vecchi e giovani: Giuliano Montaldo, Luigi Magni, Citto Maselli, Roberto Faenza, Salvatore Piscicelli, Giuseppe Piccioni, Paolo Virzì. Nikita Michalkov lo fa recitare in Oci ciornie (1987). Bellocchio lo chiama spesso. Sorrentino lo incastona in La grande bellezza (2013) e Loro (2018). Herlitzka è perfetto in ogni situazione. Assai nutrita è anche la sua partecipazione in film e serie televisive. Che la sua presenza sia lunga o breve, di primo piano o di sfuggita, credibile o poco credibile, è solo un dettaglio. Da consumato attore teatrale sa esattamente come muoversi. Non sbaglia un'inquadratura. Anche in quei film che valgono davvero poco, lui risalta con naturalezza. Avrebbe meritato ben altre storie. Ben altre parti. Ma la crisi di identità patita dal cinema italiano nell'ultimo quarantennio non lo ha consentito. Il cinema, soprattutto, ha sperperato il suo notevole e poliedrico talento. Più di quello che ha dato al palcoscenico, al grande e al piccolo schermo, Roberto Herlitzka non poteva dare.
In ogni stagione artistica ci sono luci e ombre. Purtroppo, a Herlitzka è toccata la stagione maggiormente carica di ombre. Negli anni Settanta, una parte di un film su Aldo Moro l'avrebbero assegnata a Gian Maria Volonté. In realtà è stato fatto da Elio Petri in Todo modo (1976, tratto dall'omonimo romanzo di Leonardo Sciascia). Nel film Volonté è M., il Presidente. Cioè Moro. Herlitzka in quel film nei panni austeri del Presidente avrebbe sfigurato? Siamo convinti di no. E il parallelo non è con un attore di secondo o terz'ordine. Ma con un «mostro sacro» come Volonté. Si potrà obiettare che per dare sostanza a questa supposizione manca la controprova.
Siamo certi che la controprova arriverà negli anni a venire, quando in un qualsiasi supporto assisteremo ad un frammento, breve o lungo, della recitazione di Roberto Herlitzka, grande attore italiano che poteva esser grandissimo. E se non lo è stato è perché ebbe la fortuna (o sfortuna) di lavorare in un'epoca avara di talenti.
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